Teatro del Canovaccio​

 

Via Gulli 12 - Catania

 

Tel: 391 48 88 921

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DOLLIRIO dal 20 al 23 Novembre
di nino romeo 
con Graziana Maniscalco e Nino Romeo 
regia nino romeo 
scene e costumi umberto naso 
musiche franco lazzaro 

Premio dell'Associazione Nazionale Critici di Teatro (premio Inscena) a Graziana Maniscalco 

A Mara sono stati uccisi i genitori: si rivolge a Dollìrio (don Lirio), il boss del quartiere, al quale affida la sua vendetta. Nel corso delle sette scene di cui si compone il dramma e che coprono un arco temporale di circa venticinque anni, assisteremo all'ascesa di Mara all'interno della famiglia di Dollìrio: da sguattera a padrona di casa, moglie del figlio del boss; da faccendiera a complice, a imprenditrice degli affari della famiglia; sarà Mara a gestire, in prima persona e per conto di Dollìrio, il passaggio dalla mafia di quartiere alla mafia imprenditoriale, integrata nel mondo finanziario ed economico, contigua ai poteri, primo tra tutti quello politico.  Alla graduale decadenza fisica, sino alla paralisi, di Dollìrio, si contrappone la crescente vigoria e volitività di Mara, in un progressivo gioco a spirale che è anche lotta tra mondo maschile e mondo femminile all'interno dei perversi intrecci di poteri. E la forza scenica del femminile è assecondata dal linguaggio dell'opera, in costante disequilibrio tra italiano e siciliano: un linguaggio che, pur proponendosi d'invenzione, non rinuncia al realismo e alla concretezza -e alla crudezza- che impone l'argomento trattato.
Con Dollìrio Nino Romeo prosegue l'indagine sulle dinamiche interne alla malavita organizzata nel catanese -per certi aspetti diversa da quella della Sicilia orientale- già intrapresa in Chiamata d'asso (Targa speciale della giuria al Premio Fava 1990) e in! Cucì...Cucì! (Premio Fava 1992). 


Note di Nino Romeo, autore e regista di "Dollìrio"
"Anni fa vidi in televisione una ragazza che aveva perso entrambi i genitori in un incidente: non riusciva a piangere, parlava a fatica, umettava di continuo le labbra, dondolava il capo, a volte scoteva il busto come fosse una pertica; furono sufficienti poche immagini per imprimere nella mia memoria lo smarrimento e la solitudine che quella ragazza si portava dentro. Da quell'immagine sono partito per costruire la struttura, narrativa e drammaturgia, di questo testo teatrale, ponendo a confronto, all'inizio del dramma, l'immagine di quella ragazza indifesa -che ho chiamato Mara- con un uomo di potere -potere mafioso- che ho chiamato Dollìrio. La storia che si dipana è ricca di richiami a fatti di cronaca avvenuti in Italia negli ultimi trentanni; il linguaggio di Mara è parzialmente mutuato dallo slang metropolitano in uso nei quartieri popolari della mia città -ed io sono nato e cresciuto in uno di questi quartieri, definito ad "alta densità mafiosa"-. Ma Dollìrio non è un testo sulla mafia; è piuttosto un testo che si sviluppa all'interno di una famiglia di mafia, che tenta di auscultare i battiti di quel potere: potere onnivoro e onnipresente, per tanti aspetti assimilabile ad un potere statuale. E Mara, dapprima estranea a quel potere, nel corso della vicenda, assume il linguaggio -verbale ed extraverbale- e la logica di quel potere, sino a gestirne i mutamenti e gli adattamenti relazionali. Il finale non prevede alcun pentimento né ravvedimento: in Mara prevalgono, progressivamente, smarrimento e dislocazione, da lei stessa confermati, e racchiusi nella frase: "io ho fondato la mia causa sul nulla"; frase con cui Max Stirner apre e chiude il suo "Unico": una frase polisemica, ma già per sé significante.Il testo ha un forte impianto narrativo. In sede di allestimento ho ricercato l'elemento strutturale che riuscisse a legare i frammenti di storia -e i progressivi mutamenti del personaggio di Mara- che si succedono nelle sette scene della pièce. Questo elemento unitario l'ho trovato in una frase di Mara nel sottofinale dell'opera: "ripassare questi trentanni al setaccio di una coscienza rinnovata". Così l'inscenamento del racconto teatrale assume i caratteri di un riepilogo della memoria e della coscienza della protagonista: un punto di vista intrasoggettivo affidato alla scena e che nella scena trova consistenza. Il realismo narrativo del testo -che mi ha avvinto nella fase di scrittura- perde la trama di "sequenza cronologica di eventi" per attestarsi nelle zone di marginalità di un iperrealismo forzato della memoria."
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STREAP TEASE IN ALTO MARE dal 18 al 21 dicembre
due atti unici di Slawomir Mrozek
con Giovanni Arezzo, Vladimir Randazzo, Salvo Paternò e Germano Martorana
regia Franco Giorgio


Con queste due opere, dalla scrittura originalissima, si rende omaggio al teatro di Mrozek, uno degli autori polacchi più interessanti del ‘900. Giornalista e disegnatore pubblicitario ha iniziato a dedicarsi alla letteratura fin dal 1958. Nel ’61 passa al teatro, acquisendo notorietà soprattutto all’estero. Temi umani visti da una prospettiva sempre critica ed ironica e la comunicazione attraverso il linguaggio drammaturgico di un malessere riflessivo, immediatamente sostituito da un sorriso liberatorio. In “strip-tease: obbligato” una mano diabolica costringe i due ignari protagonisti a spogliarsi e a rinunciare ai loro propositi di indipendenza e libertà. In “avventura in alto mare” troviamo tre naufraghi in una zattera che dovranno compiere delle "scelte" per la sopravvivenza. Entrambi gli atti unici, di impianto comico, si avvicinano al linguaggio del teatro dell’assurdo, sia per la situazione, sia per i dialoghi semplici ma ricchi di allusioni alla realtà di tutti i giorni.
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PART TIME dal 22 al 25 gennaio
di Plinio Milazzo 
regia Plinio Milazzo

Part time racconta la situazione lavorativa di un paese allo sbando, chiaramente nessun riferimento alla nostra Italia. È stato difficile e complicato, inventare situazioni di disagio lavorativo. Non è stato facile scovare un paese totalmente distante dalle tradizioni culturali del proprio popolo. Dove trovare una nazione che per prima cosa opera tagli alla cultura? Siccome di una sola cosa siamo certi, che noi non facciamo cultura, abbiamo pensato di scrivere storie per far passare il tempo in maniera piacevole al pubblico. A proposito di pubblico, dove si trova il pubblico? Nella nazione che ci siamo inventati, per ambientare la nostra surreale storia, ci sono più attori che spettatori. Dicevamo? Si, Part-time. Manteniamo il termine inglese che rappresenta una collocazione lavorativa non a tempo pieno, per spiegare la storia di tre, ormai non più giovani, che hanno il sogno di vivere la propria vita facendo il lavoro che più gli piace.  Se questo non è un paese per vecchi, non lo è nemmeno per i giovani, figuratevi per i quarantenni tagliati fuori da qualsiasi concorso di lavoro. I malcapitati protagonisti di questa vicenda, chiamarli eroi ci sembra proprio brutto, sono tre artisti (è una parola grossa) che con difficoltà cercano di partecipare ad un grande progetto teatrale, il musical più importante della storia del paese, una mega produzione che ha come caratteristica principale quella di pagare.  “Questi pagano pure le prove!” La svolta per ogni attore, la paga garantita ed un contratto a lungo termine per almeno tre anni di turnè. Bisognerà superare dei provini, studiare tanto e prepararsi per vincere agguerrite concorrenze di raccomandati politici, amici e amiche di Tal dei Tali ecc. Cosa che per fortuna nella realtà non esiste!  Ma per poter aspirare a tutto ciò bisognerà pur mantenersi e come? Trovando un lavoro part time! In un mondo di precari, l’attore non può non esserlo.  Tre amici, dividono un mini appartamento (le spese in questo paese sono assurde - provate ad immaginarlo, lo so che per noi italiani è difficile, ma è pur sempre teatro e il teatro è immaginazione) per sgravare il costo dell’affitto, nel frattempo conducono le loro vite, gestendo rapporti lavorativi diversi e disparati, quasi disperati direi. Per arrotondare inoltre, i tre cercano anche di cimentarsi in numeri da cabaret e da intrattenitori per qualsiasi tipo di evento, dalla sagra dell’arancino al prediciottesimo (ahimè) di Angy, purché retribuito. Da tutto questo nasce Part time, un unico atto che ci farà conoscere le vicissitudini del mondo lavorativo ed attoriale, tra gags ed esibizioni improvvisate per affrontare in modo leggero tutti i problemi che girano intorno al mondo del teatro e del precariato del lavoro in genere. Con la speranza che la vita ci scorra in maniera più piacevole di come “vogliono” farcela vivere! Chi? Boh! In un paese dove non si va più a teatro ma tutti vogliono fare gli attori, speriamo di avere tanto pubblico divertito nel vedere quanto è difficile vivere di arte.  Non ci piangiamo addosso, perché a noi di fare gli attori, non ce l’ha prescritto il medico e recitare con le camicie bagnate non fa bene. Lo so che non si capisce, per fortuna nello spettacolo le battute saranno migliori. A proposito è quasi certo che chi vedrà questo spettacolo riceverà 80 euro dal Governo.   
 
Con affetto e stima Plinio Milazzo, Giuseppe Calaciura, Francesco Turrisi.
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CAPITAN SENIU dal 19 al 22 marzo
di Nino Martoglio
Regia da concordare
con Saro Pizzuto
 
Una insolita rivisitazione di una delle commedie meno rappresentate di Martoglio. Gli ingredienti martogliani ci sono tutti: lo scilinguagnolo colorito e fluido, la comicità di situazione e di parola, le liti familiari, la ricerca del "buon partito", i matrimoni combinati, le passioni segretamente vissute, la competizione degli affetti, le questioni ereditarie. L'opera, vivace, divertente, ironica, è scandita da ripetuti colpi di scena. 
Martoglio ci ricorda, anche in questo testo, la sua straordinaria capacità di creare ritratti veri e allo stesso tempo surreali e grotteschi confermandosi, ancora una volta, il numero uno nel maneggiare la cultura popolare. I personaggi, ingenui ma anche furbi, gretti e convenzionali, devono adattarsi, loro malgrado, agli schemi morali della società... una borghesia... d’altri tempi (?)! 
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UNA SOLA STORIA dal 16 al 19 aprile                  
dal romanzo di Elita Romano
Regia e drammaturgia di Tatiana Alescio
Allestimento e Direzione di scena: Antonio Paguni
Costumi: Mary Accolla 
con GIULIANA ACCOLLA, ROSSANA BONAFEDE, ERSILIA SAVERINO 
e la voce di MARIANO RIGILLO 
          
“Una sola storia” narra i rapporti, gli umori di una famiglia borghese della Sicilia degli anni ’50.  È una sola storia… ma in fondo sono quattro, perché la stessa storia, raccontata da prospettive diverse, diventa tutta un’altra storia assumendo connotati altri. Storia di vita, o più precisamente di vita parallela, dove la singola identità si frantuma in segmenti scollati fra loro, non oggi, ma in un tempo oramai andato, in un sud dove molto, troppo è già deciso ancor prima di essere vissuto. Un sud che non parla apertamente, ma giudica sbirciando da dietro le persiane che riparano dal sole cocente dei pomeriggi d’estate. Rapporti veri tenuti rigorosamente celati, a fronte di rapporti di facciata, apparenze sterili da esibire come trofei. Tempi che cambiano, storie un tempo “giudicate male” che tornano e si ripetono quasi inconsapevolmente. “Un groviglio di passioni, frustrazioni, rimorsi e rimpianti” che riesce a distruggere i sogni in cui ogni singolo personaggio ha creduto e riposto fiducia.  Ossessionati dalla paura di ferire, tutti finiscono per ferire tutti, anche se stessi. C’è chi ha la possibilità o la forza di scegliere, chi, invece può o sceglie solo di  subire, in ogni caso il denominatore comune è la solitudine, la privazione di qualcosa… o di qualcuno: di un padre per un  figlio, di un marito per una moglie, di un compagno per un’amante.Tutti rigorosamente pressati dalla forza dell’assenza! Un puzzle che si scompone e ricompone ripetutamente, per poi trovare la sua dimensione ultima solo sul finale, quando oramai i giochi sono fatti, quando è oramai troppo tardi. 
UN PO' DI POE dal 21 al 24 Maggio
di Eliana Esposito 
dai racconti di Edgar Allan Poe 

Era con i film dell’orrore, tratti dai racconti di Edgar Allan Poe, principalmente diretti da Roger Corman, che da bambini, con le nostre compagnette d'avventure, tra il profumo del mare e quello d'arance, concludevamo le nostre serate estive. Certo quei film, considerati tra l'altro dalla critica "B movie", non avevano la poetica raffinata e immensa di Edgar Allan Poe, ma non ne tradivano affatto le atmosfere e possedevano un fascino che non ho mai più ritrovato in altri film horror. Ancora oggi quando leggo un Poe, mi tornano in mente quegli affreschi gotici, nebbiosi e paludati e soprattutto mi torna in mente il volto di Vincent Price, mitico e intramontabile interprete. Ad ogni film, speravo, fino alla fine, che non fosse lui il “cattivo” (cioè il protagonista), ma, ahimè, puntualmente dovevo rassegnarmi! Probabilmente faticavo ad accettare che il male, da sempre raffigurato come un mostro, un vampiro, un licantropo, una bestia fuori di noi, in realtà fosse dentro noi, dentro la nostra psiche. I mostri siamo noi! Questa era la novità (una delle tante) che Poe portò nella letteratura, questa la novità che Corman riuscì a portare efficacemente sullo schermo. 
Noi tenteremo di portare "Un po' di Poe" a teatro. Ma non aspettatevi proprio Poe, aspettate un altro Poe! 
eliana_scaladigrigi
cartellone 2014:15