VIVA GLI SPOSI
Ah, l’amore! L’amore! Cosa non si fa per l’amore! Si ride e si piange. Si prega e si supplica. Si vive per l’amore. Si muore d’amore. Si superano tutti gli ostacoli possibili ed immaginabili. L’amore regola la nostra vita, la rende unica, eterna, indistruttibile. L’amore ci rende forti, ci rende invincibili, ci rende immortali. “Si dovrebbe essere sempre innamorati” diceva Oscar Wilde.
L’amore sconfigge la tristezza, la noia , la morte… L’amore è vita, l’amore è passione, desiderio, speranza, sogno… L’amore allontana la solitudine, migliora i rapporti con gli altri, rende luminose anche le giornate più buie, fa splendere il sole anche se c’è il diluvio universale… Insomma, l’amore è tutto. E anche di più… finché non ci si sposa!!!
“Si dovrebbe essere sempre innamorati” ci aveva già ricordato Oscar Wilde. E conclude dicendo “Ecco perché non bisognerebbe mai sposarsi!”
Il matrimonio è, dando adito alle più becere citazioni, la tomba dell’amore. Eppure tutti anelano a sposarsi.
“Il matrimonio - ci dice Giovanni Verga - è come una trappola per topi; quelli che sono dentro vorrebbero uscirne, tutti gli altri ci girano intorno per entrarvi.”
Ognuno con un suo personale motivo, ma tutti con una sola speranza: una donna sposa un uomo sperando che cambi, e lui non cambierà. Un uomo sposa una donna sperando che non cambi, e lei cambierà.
Da queste premesse parte “Viva gli sposi - Scene di matrimonio, d’amore, tradimenti e ordinaria follia” di Aldo Nicolaj, uno spettacolo che racconta, con esilarante e grottesca comicità, il microcosmo familiare, formalmente costruito sull’amore e che, invece, si rivela contenitore di pulsioni negative in un contrasto assurdamente comico e nero. Con sorriso benevolo e accattivante, ma graffiante e corrosivo, si raccontano - fra scherzo e finto dramma, ridicola tragedia e farsa - storie di vita coniugale, lontane dall’immaginario di ognuno di noi, ma talmente vicine al nostro reale da sembrare essere state da noi stessi vissute.
“Il matrimonio è una macchina perfetta di buone maniere, di temperamenti resi miti dal livello sociale, di entusiasmi costruiti con adeguati e scaltri meccanismi culturali” ci dice Nicolaj, “dove tutto deve apparire gradevole, armonioso ed adorabile, ma che spesso, invece, risulta crudele, indifferente ed odioso … almeno finché non ci si tradisce!”
Da quel momento la nostra vita rifiorisce… rifiorisce… rifiorisce…
LULU'
Lulù è una figura dell'immaginario che si è insinuata in gran parte della cultura del ‘900.
Ripresa in innumerevoli opere artistiche, la figura femminile dai capelli a caschetto neri, il trucco essenziale ma intenso, e gli occhi espressivi, è elemento di riferimento per intere generazioni.
Lulù è dunque un archetipo, l'incarnazione tragica e moderna del mito della Donna Fatale, un personaggio in cui gli elementi conflittuali, a volte autodistruttivi, si sposano con una fortissima pulsione alla seduzione.
Prostituta sacra ma anche intatto essere preistorico, essa trascina con sé nella distruzione un corteo variegato di uomini, ma il vero oggetto della distruzione è lei stessa. Il destino che si compie in Lulu, giustiziata da Jack lo Squartatore, è quello che la società riserva a ogni eccesso che la destabilizzi e riesca a metterla in dubbio, eccesso di cui la donna e la sua natura sono insegne privilegiate.
Lo spettacolo offre una riduzione e un adattamento del testo integrale originale con una messa in scena semplice ma altamente simbolica dell’umore della tragedia di Wedekind che non è esente da sprazzi di umorismo.
LA RIVOLTA DEGLI INSETTI
Questo divertissement è in realtà una forte invettiva nei confronti della razza umana, rea di distruggere giorno dopo giorno con gas, pesticidi e veleni vari la natura e le innumerevoli specie di animali. A prendere la parola sono gli insetti, la famiglia più numerosa e più varia di tutto il pianeta. I loro portavoce sono gli scarafaggi che presentano in scena di volta in volta api, zanzare, farfalle e ragni i quali dicono finalmente la loro sul mondo, sulla vita, e soprattutto sugli uomini, ...”troppo occupati da altri, nobili, altissimi progetti per guardare la varietà meravigliosa che brulica ai (loro) piedi e vola sopra la (loro) testa”. La comicità del testo fa risaltare ancor di più, se possibile, un tema quanto mai attuale come quello dell’ecologia, con la leggerezza e, al tempo stesso, la causticità che contraddistingue uno degli autori italiani più amati, più letti e più rappresentati. Abbiamo adattato il testo, che originariamente è stato scritto per un solo attore, e ci siamo divertiti ad immaginare il mondo da una prospettiva scomoda, cioè dal basso verso l’alto. Un esercizio che l’uomo dovrebbe fare spesso per ricordare di non essere il proprietario del mondo e per imparare a rispettare la meravigliosa varietà animale che popola il nostro pianeta.
NIENTE DA DICHIARARE
Il teatro comico di fine ‘800 e inizi ‘900 è caratterizzato dalla fioritura di vere e proprie “macchine” comiche. Basti pensare al teatro di Feydeau e Scarpetta. In queste commedie osserviamo un insieme di personaggi che, nonostante i vizi e le ipocrisie, risultano simpatici proprio per le “magagne” che combinano.
“Niente da dichiarare” commedia farsesca di Hennequin e Veber, appartiene, drammaturgicamente, a quel periodo storico.
In “Niente da dichiarare” i personaggi agiscono all’interno di alcune convenzioni sociali che vengono, però, disattese di nascosto. Questo contrasto tra regole pubbliche e imbrogli privati è la premessa di ogni commedia ed sarà anche premessa dei grandi testi pirandelliani.
Oltre alle premesse comiche, “Niente da dichiarare” offre anche la possibilità di rivedere i modi e i tempi di quel repertorio comico. Comicità che richiedeva, oltre alla grande capacità tecnica degli attori, scrupolose messe in scena attente a mettere in moto una macchina teatrale potente e sofisticata.
Una tradizione teatrale di grande valenza artistica, a volte sottovalutata, che,
invece, nutre ancora, sia pure in modo subliminale, gli spettacoli comici di oggi.
Ripercorrere i tempi e i modi di questo genere teatrale per noi significa rivivere un aspetto della nostra tradizione che, pur provenendo dal nostro passato, contagia il nostro presente in quanto, se non altro, punto di riferimento dell’espressione comica in generale.
ALLA FINE DEL TEMPO DELL'ULIVO
Così come”IL giardino dei ciliegi “ segnava la fine di una aristocrazia e di una ricca borghesia che avevano dominato in Russia il Regno indiscusso degli Zar, “cosi alla fine del tempo dell’ulivo segnava il passaggio che si pone fra le due grandi guerre .Se da una parte la liberazione dei servi aveva creato un vuoto tra i servitori della “gleba” nelle immense proprietà del tempo , che traevano sostentamento solo da miseri vitto e alloggio da parte dei padroni e ci si preparava alla rivoluzione del popolo russo, all’interno delle due guerre mondiali si lottava per la distribuzione della terra e l’acquisizione dei diritti amministrativi e per lo studio e l’applicazione della giustizia .
“Il giardino dei ciliegi” parla di una famiglia che fu’ di grande passato , ma ormai alla fine del suo splendore;l’Ulivo è una pianta sacra,bisognosa di devozione .Se abbandonata combatte i suoi nemici fino alla battaglia finale,in cui solitudine e desolazione vorrebbero impadronirsene; ma Ulivo è eterno.
ANTUDO
ANTUDO è la parola d'ordine segreta adottata dai congiurati siciliani, come segno di riconoscimento, durante la rivolta del Vespro nel 1282. Il termine, che è l'acronimo di ANimus TUus DOminus (=Il coraggio è il tuo signore) e che è il simbolo dell'ardore combattivo e dell'eroismo dei siciliani, venne riportato dai "ribelli" anche sulla bandiera (giallo rossa con al centro la Trinacria) che, con atto pubblico, il 3 aprile del 1282, divenne il vessillo di Sicilia. La parola fu utilizzata in tutte le successive rivolte dell'isola e da tutti i partiti e movimenti separatisti e indipendentisti. ANTUDO è il grido che ha accompagnato anche il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano) e l'EVIS (Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia) durante le battaglie che portarono il 15 maggio del 1946 al decreto legislativo (promulgato dal re Umberto II) che riconosceva alla Sicilia uno Statuto Speciale di Autonomia (successivamente convertito in legge costituzionale nel '48 dalla Repubblica italiana). Lo Statuto Speciale della Sicilia non è dunque una gentile e generosa concessione dello stato italiano, bensì una sanguinosa e sudata conquista del Popolo Siciliano. Oggi va di moda parlare dello Statuto: c'è chi lo ritiene responsabile dei mali della Sicilia, c'è chi minaccia addirittura di eliminarlo, c'è chi se ne riempie la bocca promettendone l'attuazione (magari!) compresi i vecchi politici che oggi lo includono nei loro programmi elettorali dopo averlo schifato o peggio ancora male usato durante tutta la loro carriera politica, c'è chi ne parla per accaparrare voti senza conoscere i suoi articoli e la sua nobile storia.
ANTUDO è il viaggio alla scoperta di chi eravamo per capire dove vogliamo andare. ANTUDO è il risveglio, la presa di coscienza. ANTUDO è la lotta alle mafie, agli ascari, ai partiti nazionali che con la scusa di rappresentarci ci mettono le mani in tasca e avvelenano la nostra terra! ANTUDO è il coraggio! ANTUDO è la Sicilia incazzata che si ribella. ANTUDO è la libertà! ANTUDO siamo noi!